Associazione Fondazione LUCIANO MASSIMO CONSOLI

2 settembre 2017

Invito ad una attenta lettura di questa lunga intervista a Franco Grillini per PRIDE online.


Franco Grillini: ricordi struggenti, lotte per diritti e uguaglianza, conquiste culturali e sociali

“Le cose brutte erano gli amici che morivano. La sconfitta quella di non essere riusciti a fare i centri di accoglienza per persone Lgbti cacciate di casa o povere”
Franco Grillini: ricordi struggenti, lotte per diritti e uguaglianza, conquiste culturali e sociali

Qualche sera fa il Padova Pride Village ha assegnato a Franco Grillini il premio come personaggio Lgbti dell’anno.
Grillini vanta una lunghissima militanza politica e nel movimento Lgbti italiano che lo vede impegnato in prima fila sin dai primi anni Ottanta, ricoprendo a lungo il ruolo di Presidente nazionale di Arcigay(1987-1998) – di cui oggi è presidente onorario. Ha contribuito alla creazione della Lega Italiana per Lotta all’Aids(LILA) e della Lega Italiana per la Famiglie di Fatto (Linfa) e oggi è presidente di Gaynet e direttore di Gaynews.
Sul fronte politico nel periodo tra il 2001 e il 2008 è stato deputato con i DS, distinguendosi per la battaglia sui Pacs (legge sulle coppie conviventi di ispirazione francese). Nel 2010 è stato eletto consigliere della Regione Emilia Romagna con l’IDV. Nell’ultimo anno e mezzo ha dovuto affrontare una grave malattia, dalla quale è in fase di recupero,che lo ha costretto a una posizione più ritirata.
Cogliendo l’occasione del premio ricevuto lo abbiamo sentito per ripercorrere con lui alcuni passaggi di oltre trent’anni di attivismo e impegno, di successi e battute di arresto e guardare assieme al presente e alle prossime sfide.

Il riconoscimento del Padova Pride Village giunge dopo più di un anno di grande sofferenza a causa della malattia che stai affrontando. Malattia che ti ha tenuto insolitamente distante da molte iniziative ma che sicuramente ti ha consentito di osservare i fatti importanti di questo periodo da una posizione defilata per te inedita, ma di osservatore attento e privilegiato anche dallo sguardo esperto della lunga militanza.

Il Cambiamento radicale, anche dell’aspetto fisico mi ha ridato un po’ di anonimato che non mi è dispiaciuto. Ho avuto tutto il tempo di riflettere. Per me il vero anno orribile, in cui non sono potuto andare da nessuna parte è stato il 2016. Nel 2017 ho ricominciato a muovermi e ho partecipato anche a diversi eventi. Questo 2017 è stata una specie di resurrezione.
Ad ogni modo devo dire, mi piace questo aspetto un po’ più defilato e anonimo, perché mi piace parlare di storia, del percorso che abbiamo fatto e mi piace ricordare il passato e anche dare il giusto merito a chi non c’è più. Ma mi piace anche dire quel che penso senza peli sulla lingua, in modo diretto. È più facile farlo quando non hai responsabilità organizzative e di mediazione politica.

In occasione della premiazione hai voluto dedicare il riconoscimento a quanti hanno iniziato con te la lotta negli anni Ottanta. Sono stati anni molto duri in cui la visibilità non era affatto scontata. In cui bisognava costruire molto da zero. Sono stati, soprattutto, gli anni dell’AIDS che si è portata via molti di quei pionieri e di quegli attivisti

Gli anni Ottanta sono stati gli anni tragici dell’Aids, fino al 95-96, quando finalmente fu disponibile la triterapia. Una diagnosi significava avere pochi mesi di vita. Sono stati anni durissimi perché noi abbiamo costruito l’associazione dovendo affrontare quest’emergenza. C’era gente che moriva quotidianamente. Andavo a un funerale quasi ogni giorno. Non so neanche come ho e come abbiamo resistito a tanto dolore.
Ma abbiamo anche retto uno scontro molto duro e risposto a chi associava la malattia allo stigma dell’omosessualità. C’era la pastorale di Ratzinger che diceva che lo stile di vita omosessuale con l’AIDS metteva a rischio la vita di molte persone. Quindi la Chiesa – e non solo – usò l’AIDS contro il movimento gay. Personaggi come il Cardinale Siri di Genova che diceva che l’AIDS era un “castigo di Dio”. E io replicavo che “siccome le lesbiche non erano colpite quindi erano le preferite dal Signore”. Una battuta, ovviamente, per spezzare un po’ il clima tragico nelle migliaia di conferenze che facemmo da Nord a Sud. A volte fino a 3 al giorno, la mattina in una scuola, il pomeriggio da qualche altra parte, la sera in una sala di Circolo. E in quegli anni spesso non c’era né amplificazione né riscaldamento. infatti finii operato alle corde vocali. Un periodo di militanza intensissima.
Purtroppo molti amici e compagni di lotta di quegli anni sono morti, alcuni erano già grandi allora, ma molti sono morti proprio di Aids. Come il mio grande amico Antonio Frainer, che è stato presidente del Cassero ed è morto negli anni ’90. O La Pruxy, il nome di “battaglia” di Valerio, un’altra colonna del Cassero, e tanti altri in giro per l’Italia. L’Aids ci ha portato via una fetta importante di militanza. Poi ci sono alcuni presidenti di circoli che ci hanno lasciato come Beppe Tasca di Venezia e Pino Arnò di Bergamo.

Un periodo di militanza molto intenso che, hai detto dal palco del Padova Village, ha contribuito a cambiare il volto del nostro Paese

Un periodo anche magico in cui eravamo pionieri e andavamo in giro per l’Italia e insieme alla tragedia c’era anche l’esaltazione di fare una cosa nuova e avviare quel cambiamento che poi c’è stato.
Sono stati dei decenni che hanno cambiato il volto del Paese. Bisogna dirlo ai giovani oggi che fanno fatica a capire la grande conquista del benessere personale che oggi è garantito, secondo me, alla maggioranza delle persone Lgbti in Italia. Nonostante ovviamene ci siano ancora tanti problemi da affrontare.
Una grande conquista, quella del benessere, che non esisteva quando le persone erano costrette a fare la doppia vita, molti costretti dalla pressione sociale a sposarsi e magari avere dei figli. Per cui oggi abbiamo molti gay anziani con figli e nipoti che non l’hanno mai detto in famiglia.
Oggi per fortuna non è più così e per la maggior parte dei giovani Lgbti è più facile parlare coi genitori magari a 14 o 15 anni e immaginarsi una vita senza finzioni o imposizioni. Una grande vittoria culturale e sociale.
Poi alla fine siamo riusciti a passare anche sui diritti delle coppie seppur con delle limitazioni.
Ma è importante far capire alle nuove generazioni che c’è qualcuno che si è fatto il mazzo per ottenere tutto questo. Alcuni come dicevamo non sono più con noi, molti non fanno più militanza attiva o sono attivi solo sui territori.
Ma è grazie a tante e tanti sui territori, all’essere riuscirti a far nascere e mantenere attiva una presenza Lgbti nelle città con tanti circoli locali che abbiamo costruito quel cambiamento. Fare un circolo voleva dire interloquire con le amministrazioni locali, chiedere e magari ottenere una sede, aprire un consultorio, essere un punto di riferimento e creare visibilità.

Qualche risultato mancato in quegli anni?

Il punto debole, l’obiettivo mancato che non siamo riusciti a mettere in campo, ed è il mio cruccio, è la parte socio assistenziale. Fare dei centri di accoglienza per giovani Lgbti cacciati di casa o poveri. Sarebbe stato importante ma nessuno è stato disposto a finanziarci. Già darci una sede era un grande risultato, ottenuto a prezzo di scontri e con feroci opposizioni della destra e dei cattolici. Mentre sul fronte del found raising l’associazionismo non ha mai prodotto un gran ché. Ho visto molti omosessuali morire e lasciare tutto alla Chiesa Cattolica. Con queste premesse è stato pressoché impossibile organizzare vere e proprie strutture si assistenza o di accoglienza, che hanno dei costi di gestione enormi.

A quegli anni sono certamente legati molti ricordi. Se dovessi citarne due. Uno bello, una vittoria. E uno brutto o una sconfitta bruciante?

I ricordi belli sono tantissimi. Quando fai il pioniere tutto è una scoperta, tutto è una novità, tutto è fatto per la prima volta. Come quando si arrivava nei paesini in cui c’era tutto il paese riunito in assemblea ad aspettarci. O Come quando scoprimmo gli archivi dei confinati omosessuali durante il fascismo. Perché c’erano i film come Una giornata particolare e Gli occhiali d’oro, sapevamo delle persecuzioni, ma non sia avevano le prove. Poi grazie ai rapporti con gruppi di ex partigiani siamo riusciti a scoprire questi archivi e a finanziare una ricerca che confluì in un articolo di Giovanni Dall’Orto uscito su Babilonia. Una scoperta che ha dato l’avvio in Italia a tutte le ricerche successive sulle persecuzioni degli omosessuali da parte del fascismo.
Un altro bellissimo ricordo è il campeggio di Rocca Imperiale (Cosenza) nel 1985. Il primo “Arcigay camp”. Fu molto avventuroso. La polizia dovette proteggerci, perché con l’Aids c’era l’accusa di essere degli untori, e l’intera stampa nazionale ci seguì per tutto il tempo. Non c’erano mica i cellulari allora. Avevamo un solo telefono a rondella, di quelli in cui infilavi il dito nella ghiera da ruotare per comporre il numero. Il campeggio era tremendo, ma l’acqua blu cobalto meravigliosa. Non me la sono più dimenticata.
Il Paese era in subbuglio, facevamo assemblee oceaniche e ci venne n soccorso un personaggio straordinario. Giovanni Rossi Battista, allora direttore del centro di ricerca virologica dell’Istituto Superiore di Sanità (morto poi di leucemia probabilmente per le radiazioni di laboratorio). Ci salvò, venne e spiegò a tutto il paese riunito in assemblea che l’Aids non si prende con un bacio o una stretta di mano. È stato lui a organizzare nel 1991 il Congresso mondiale Aids a Firenze, con la presenza di oltre 80.000 partecipanti. Un evento che secondo me ha rappresentato il primo vero grande pride in Italia.
Le cose brutte erano gli amici che morivano. La sconfitta quello di non essere riusciti a fare i centri di accoglienza.

Abbiamo parlato delle importanti conquiste ottenute sul piano culturale e sociale. Ma passando al piano politico perché in Italia abbiamo dovuto aspettare così tanto per avere una legge che riconoscesse le coppie omosessuali?

Ci sono due risposte. Una tecnica e una politica. Sul piano tecnico, banalmente non c’era la maggioranza parlamentare. Il Parlamento era dominato da parlamentari di impostazione cattolica. E questo non valeva solo per la destra, che è la peggiore d’Europa. Anche nel centrosinistra ci stava un blocco consistente di parlamentari cattolici che impediva l’approvazione di qualsiasi legge in merito. Purtroppo non era nelle nostre disponibilità far vincere le elezioni a una maggioranza di parlamentari laici. Altrimenti lo avremmo fatto. Dobbiamo ammettere che elettoralmente il peso del movimento Lgbti è stato sempre scarso.
La ragione politica, di cultura politica se vogliamo, è che l’Italia politicamente parlando è un Paese clerico-fascista o catto-comunista. L’impostazione clericale attraversa l’arco parlamentare, anche di esponenti che vengono dalla storia del PCI. Ricordo che persone come Chiti, Bersani o lo stesso Napolitano hanno contribuito ad affossare la stepchild adoption al Senato. Questo catto-comunismo ha rappresentato il vero blocco nell’avanzamento dei diritti civili. Una cultura laica e libertaria è sempre stata minoritaria.
Per questo a chi mi diceva che il movimento Lgbti doveva allearsi con chi si occupa di altre tematiche io ho sempre risposto che sì l’alleanza bisogna farla con chi si batte per la laicità dello Stato.
Anche in passato, all’interno della stessa sinistra istituzionale ci sono stati vari problemi. C’era un’omofobia storica a sinistra. Con le prime eccezione in alcuni gruppi della sinistra rivoluzionaria, che veniva definita anche extraparlamentare. C’erano la Pagina Frocia di Lotta Continua, i CLS (Collettivi di liberazione Sessuale) di Avanguardia Operaia e i gruppi gay del PDUP. In questi gruppi hanno militato personalità importanti del movimento come Giovanni Forti o Bruno di Donato, che dopo essere stato tra i fondatori del Circolo Mario Mieli si è trasferito a Torino dove è morto di Aids.
Negli stessi anni l’attuale Presidente del Consiglio Gentiloni militava nel PDUP ed era direttore di Pace e Guerra. Nella loro sede facevamo le nostre riunioni nazionali del movimento. Chissà se si ricorda.
La vera interlocuzione con la sinistra istituzionale inizia col pubblicazione di alcune lettere su Rinascita e La Città futura, organo della FGCI, diretta da Ferdinando Adornato. Due ragazzi di Ravenna che stanno ancora insieme si firmarono “Eurialo e Niso”.
Gli anni Ottanta sono stati anche gli anni dei rapporti coi partiti. Facevamo incontri con la segreteria nazionale del PCI, col PSI, coi Repubblicani. Presi la parola al congresso del PLIa Genova nel 1986.
Con la DC invece non avevamo nessun rapporto. Anche se era il partito con il maggior numero di dirigenti gay. Ovviamente non dichiarati.

Se guardiamo al presente. Dal tuo punto di vista di chi ha visto il movimento in un arco di tempo così lungo attraverso le sue evoluzioni e tanti importanti passaggi storici. Come giudichi l’attuale realtà? Cosa pensi dello scontro che ha visto Arcilesbica contrapporsi a molte altre associazioni?

Il Movimento di oggi ha il grande pregio. Quello di essere riuscito a fare il Pride in 24 città, mobilitando mezzo milione di persone. Cosa che non riesce a fare nessun altro nella politica italiana e dovrebbe essere valorizzato molto di più sul piano politico. Soprattutto per la presenza straordinaria di giovani, che su altri temi è del tutto assente e che partiti e sindacati si scordano. Una potenzialità politica enorme, e una buona incisività.
La manifestazione più incisiva che abbiamo fatto negli ultimi due anni è stata quella delle 100 città nel 2016 che ha sterilizzato il Family day e ha dimostrato che la maggioranza dell’opinione pubblica italiana stava dalla nostra parte e non di quattro pagliacci integralisti.
Il grosso limite e l’assenza di un ragionamento strategico sulle prospettive. Dopo le unioni civili che si fa? Ci vuole uno sforzo di riflessione anche teorica – terreno in cui siamo stati sempre deboli – per andare oltre pride e delle varie date, come il 17 maggio e il 1° dicembre che ci impegnano.
Il punto debole è non essere ancora riusciti a individuare una strategia che ci consenta di completare l’iter legislativo su matrimonio e legge contro l’omofobia e intervenire sulle malattie a trasmissione sessuale che hanno un andamento epidemico come l’epatite a e le la sifilide, su cui occorre un rinnovato impegno di informazione.
Sulla Gpa sono rimasto un po’ sorpreso. Per me è arrivato come un fulmine a ciel sereno perché a causa della malattie non aveva seguito tutto il dibattito. Scoppia questo casino che mi ha infastidito. Anche perché non ritengo questo un argomento strategico. Ogni tanto il movimento si impegola su questioni non strategiche che lasciano il tempo che trovano. Poi mi ha sorpreso la posizione di molte amiche di Arcilesbica. Non tanto per la posizione, perché si può essere pro o contro, quanto per la veemenza, l’intensità di queste posizioni, con volantinaggi ai Pride e richieste di espulsioni dal movimento.
Ho trovato tutto sopra le righe soprattutto se si considerano le dimensioni quantitative.

Ma qual è tua posizione su questo tema?

La mia è una posizione semplicissima, che vale anche per la PrEP. Una persona adulta col proprio corpo deve poter fare quello che vuole. Sono anche un antiproibizionista. Quello di intervenire nella vita privata e intima della gestione del corpo e della sessualità di altri lo trovo molto sgradevole.
Soprattutto sono contrario al “dover essere” in politica. Da estremista libertario quale sono “uno è quello che gli pare”. Tutto il ragionamento sulla democrazia, la libertà personale ruota intorno a questo: “Esiste l’autonomia dell’individuo adulto?” Se c’è che diritto hai tu dire cosa devo fare?
Per quel che mi riguarda sento l’assoluta necessità dell’autonomia individuale e del rispetto che bisogna avere delle scelte individuali e nessuno ha il diritto di dire cosa devi fare e non devi fare all’interno dei limiti della convivenza civile.
Il “dover essere” ha caratterizzato anche la sinistra che ti dice che per essere felice devi fare questo o quest’altro. Su questo punto ho sempre avuto un elemento di dissenso per esempio con Mario Mieli, che diceva che per essere felici bisognava scopare con chiunque, uomini o donne e mangiare merda. E allora io dicevo mi spiace ma non è la mia idea di felicità. Scopo con chi mi pare, non mangio merda e non ho bisogno che qualcuno che me lo venga a insegnare. Il mio riferimento teorico era invece il libro di Robert AltmanOmosessualità e liberazione”.
Poi certo Mieli era una persona intelligente, scriveva bene e, per i politicanti come me, si leggeva anche bene. Però dissenso teorico totale.

Con Mieli il dissenso politico/teorico più profondo e significativo mi sembra proprio quello relativo al riconoscimento delle coppie e del matrimonio omosessuale che lui in Elementi criticava e attaccava apertamente come obiettivo di normalizzazione e integrazione nel sistema di valori familiari e borghesi che andavano invece abbattuti con la rivoluzione. Anche grazie alla potenza eversiva della liberazione sessuale e omosessuale. Un dissidio che ha attraversato il movimento e che, in parte esiste anche oggi.

Una delle accuse che mi è sempre stata rivolta in questi 30 anni è di essere un moderato. Di essere un normalizzatore. Che era anche la critica che ci veniva da una certa sinistra. E che ancora qualcuno ogni tanto risveglia, da ultimo Massimo Fini che scrive “ormai gli omosessuali si sono integrati, era molto meglio quando erano trasgressivi e rivoluzionari”. Per un certo mondo progressista noi dovevamo fare i trasgressivi di mestiere. Ma qui scatta di nuovo il “dover essere”.
Chi perseguiva come me il benessere di alcuni milioni di omosessuali era un moderato. Per me la politica significa garantire, per quanto riguarda la collettività Lgbti, il benessere di alcuni milioni di persone. Questo è il vero obiettivo rivoluzionario che consente di cambiare in meglio le esistenze. Per me è molto più trasgressivo un matrimonio gay. In quegli anni a parlare di queste cose i tuoi interlocutori imbracciavano i fucili.
La questione delle coppie omosessuali abbiamo dovuto farla passare faticosamente anche all’interno dello stesso movimento. Nel 1985 su questo tema sono stato messo in minoranza al congresso fondativo di Arcigay nazionale, perché la maggior parte non voleva il riconoscimento delle convivenze. Ci furono giorni di discussioni e litigi furiosi. Poi la mediazione fu di inserirlo ma come quinto e ultimo punto.
Oggi mi sono ritrovato gente che era anti-tutto che ora è a favore di tutto. Ma un po’ di autocritica? Queste posizioni ci hanno fatto perdere anni preziosi. Se in Italia abbiamo avuto queste leggi in ritardo non è stato solo a causa della politica ma dello stesso movimento. Persone che dicevano che queste erano cose che non servivano, che non si poneva il problema delle conquiste legislative, che era la normalizzazione. E io che dicevo: “vedremo storicamente chi avrà ragione”. Ho avuto ragione.
Sono contento di essere riuscito a recuperare e a ristampare il manifesto, con due persone abbracciate riprese dall’alto, che abbiamo fatto per la presa del Cassero del 28 giugno 1982. Allora per farlo ne discutemmo fino alle 5 del mattino perché molti non volevano quello che allora si chiamava il “sentimentalismo borghese”. Mentre io alla prima riunione a cui partecipai che la vera rivoluzione stava nei sentimenti. Questo principio è stato sancito dalla sentenza della Corte Europea che ha condannato l’Italia proprio sul tema del riconoscimento delle coppie omosessuali.

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